"Però
è bravo!" Ottenuto il viatico anche da
Fernanda Pivano, presente tra il pubblico e applaudita
a sua volta al suo arrivo dalla nutrita platea (e
galleria) del Ciak, Gianmaria Testa non ha da dolersi
del concerto di Milano: due chiamate per i bis e un
ascolto attento e partecipe, come immagino avvenga
spesso ai suoi concerti.
Prima o poi, infatti, bisogna imbattersi in un concerto
di Gianmaria Testa. Anche per scrollarsi di dosso
alcune idee fisse. Ad esempio che Testa sia uno ingessato
in scena e magar anche un po' triste. Ebbene: ho riso
durante il concerto di Gianmaria Testa al Ciak! Mi
sono diverito. Non per il tema del concerto ovviamente.
Che, come è facile prevedere, era quello dei
migranti del nostro tempo. Un tema serio e delicato,
trattato soprattutto dal punto di vista umano (e questo
è tanto più raro e difficile) e meno
da quello politico. Con evidenti e voluti richiami
a quando, non molto tempo fa, i migranti eravamo noi.
“Anch'io - dice Gianmaria - quando arrivo
a un incrocio e vedo appostati i lavavetri extracomunitari,
spero sempre che il semaforo resti verde. Fa che resti
verde, fa che resti verde ... Tac! Scatta il rosso.
A questo punto sia che dia l'elemosina, perché
è di quello che si tratta, sia che non la dia,
riparto sempre con una doppia sensazione dentro: di
rabbia e di vergogna". Tutto questo Testa
ha cercato di metterlo nei solchi di "Da questa
parte del mare", distillando l'essenza di un
grande lavoro e, pressoché con la stessa scaletta
lo ha impaginato per questa tournée per i teatri
d'Italia che segue il fortunato tour francese che
ha visto tutte le tappe segnare il "tutto esaurito".
Si parte quindi con "Seminatori di grano",
inquetante e solenne, quasi come fosse avvero l'inizio
di una cantata laica e si prosegue con "Rrock",
con quel lungo finale dove la voce di Gianmaria e
il clarinetto dell'ottimo Piero Ponzo si intrecciano
fino a ricreare l'idea (ma solo l'idea) di un canto
etnico africano: la voce del padre che rimane in patria,
mentre il figlio decide di partire. "E mio
padre non c'è/ è rimasto da solo a masticare
la strada / perché dice che tanto / sarà
guerra comunque / e dovunque si vada".
Seguono, come da programma, "Forse
qualcuno domani" e "Una
barca scura" che dal vivo guadagna
rispetto alla versione, molto scura del disco. Meno
soffiata e sussurrata, più rabbiosa, ottima
introduzione della successiva e violenta "Tela
di ragno", il brano che fornisce
l'esca per parlare dei lavavetri fermi ai semafori.
Ma non è l'unico momento in cu Gianmaria parla.
Parla molto, introduce i brani, prima più compreso,
poi sempre più sciolto. Scherza sul fatto di
essere a Milano, di avere su una giacca da mezza stagione,
ma che le mezze stagioni non esistono più e
quindi col suo "frescolana" si sta facendo
un bagno di sudore niente male. Ma non può
togliersi la giacca perché stto ha una maglietta
con le maniche corte. E poi siamo a Milano! Ma i musicisti
hanno trasgredito l'ordine della giacca e quindi è
il solo ad averla addosso.
Musicisti che sono bravissimi e oltre a Piero
Ponzo che suona clarinetto, sax e fiat, comprendono
Emanuele Dell'Aquila alla chitarra
elettrica, col difficile compito di rifare gli assoli
che su disco spettavano a Bill Frisell, Nicola
Negrini al contrabbasso e Philippe
Garcia alla batteria, oltre allo stesso Gianmaria
alla chitarra acustica, tranne, in una sola occasione,
all'elettrica. E' tempo del primo intervallo, ma è
un'intervallo in musica. Gianmaria spiega che, curiosamente,
per una di quelle strane anomalie della storia, gli
italiani del sud sono emigrati verso l'America del
Nord e gli italiani del nord, prevalentemente hanno
fatto rotta verso il Sudamerica. Così a Buenos
Aires si chiamano tutti Testa! Ogni tanto qualcuno
tornava e portava e musiche di quei luoghi: il tango,
l'habanera. Ma non erano rigorosi. Erano musiche portate
ad orecchio. E da quel brodo di coltura è nata,
ad esempio "Preferisco così".
Seguono una versione molto ritmata de "Il
viaggio" (bellissima!) e "Dentro
la tasca di un qualunque mattino",
sempre più delicata, sempre più dolce
ed è già ora di tornare all'album per
il celebrare il quale siamo convenuti al Ciak. Indimenticabile
"Il passo e l'incanto", coinvolgente e intimo
come se fosse una musica che ci portiamo dentro da
sempre. "Di certi posti guardo soltanto il
mare / il mare scuro che non si scandaglia / il mare
e la terra che prima o poi ci piglia / e lascio la
strada agli altri, lascio l'andare / e agli altri
un parlare che non m'assomiglia". Una canzone
che sa togliere il fiato e che appartiene alle sfere
alte della musica. Ma si sa che la seconda parte del
disco contiene solo gemme: "3/4"
non fa eccezione, con il suo piccolo racconto delicato
di una storia d'amore di altri confini, altre terre,
altra pelle, ma stessi sentimenti: "Volevo
tenere per te / una sola di tante stagioni / ma volevo
che fosse per te / per te sola e tutti gli altri di
fuori".
Ci fosse stato un applausometro sarebbe poi saltato
per aria con "Al mercato di Porta
Palazzo" con quella sua aria da
"Bocca di rosa" del secondo millennio. Satira
sociale e ritornello travolgente solo strumentale.
La lezione di Fabrizio De André imparata bene,
mandata a memoria e assimilato. "Dal letame nascono
i fiori" e quei "tra i fiori nasce un bambino".
"Adesso siamo pronti per matrimoni e compleanni"
chiosa Gianmaria al termine del tornado di applausi.
Comunque bello. Devo confessare che non mi ricordo
di aver sentito "Ritals",
forse la canzone più bella del disco, ma potrebbe
essere un vuoto di memoria. Ricordo invece bene la
"Miniera" di Bixio -Cherubini, anche per
averla appena sentita sul disco di Fabrizio Poggi:
"La
storia si canta". Strano destino
di una canzone: scritta nel '27, grande successo per
decenni, poi dimenticata e ora ripresa in due dischi
contemporanei e usciti in contemporanea!
Seconda pausa e spazio per "Valzer
di un giorno", Joking Lady" e "Gli
amanti di Roma" ed è anche
l'ccasione per Gianmaria di un pezzo di cabaret sulle
disavventure di un cuneese che va a Parigi. "Dovete
sapere che per noi di Cuneo Parigi è un po'
un luogo dell'anima. Esisterà Parigi? Mah?
Con questo spirito sono partito per andare a firmare
il mio primo contratto discografic. Era un'occasione
importante e allora sono partito di notte, col treno
da Torino delle 22,47 che arrivava alla Gare De Lyon,
adesso invece è alle 23,20 e arriva alla Gare
de Bercy che è pure più scomoda ...
ma queste sono chiacchiere da ferroviere!" Insomma,
forse non ci crederete, ma la storia di Gianmaria
a Parigi è veramente spassosa. Con "Polvere
di gesso" l'excursus è completo
su tutti i dischi di Gianmaria. E' tempo di salutare
e di andare via.
Un momento. Il pubblico non è per niente d'accordo.
Si torna sul palco per il breve lampo de "La
nostra città", ultima canzone
del disco nuovo e "Aeroplano a vela".
Ma non basta ancora, secondo bis ed è la volta
di una "La ca sla colin-a"
fatta dal solo Gianmaria, mai così bella. Triumpho,
orejas y musica come scriveva Brera e la frase sospirata
dalla Pivano: "Però è bravo!".
Un capitolo del prossimo libro della Nanda nazionale
inizierà inevitabilmente con "Ah, questo
Gianmaria!", viatico indispensabile per un duraturo
successo mondano.